Breadboard Auto-alimentata

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Di Antonello Della Pia.

 

La Breadboard rappresenta sicuramente una piccola rivoluzione nel campo della sperimentazione e prototipazione elettronica. Anche a voi forse è successo qualche volta di desiderarne una … autoalimentata!

La Breadboard è uno strumento ormai insostituibile per ogni Maker. Permette di “fare e disfare” velocemente, riutilizzare praticamente all’infinito i componenti, testare la validità di un’idea, la fattibilità di un progetto senza mettere mano al saldatore o preoccuparsi del circuito stampato, del contenitore e dell’aspetto definitivo. Per come sono concepite, le comuni Breadboard presentano caratteristiche (resistenza di contatto e capacità parassite non trascurabili, isolamento limitato) che ne sconsigliano l’uso con tensioni maggiori di poche decine di volt e correnti di qualche centinaio di milliampere, tuttavia l’esperienza dimostra che per la stragrande maggioranza di noi sperimentatori sono perfettamente adeguate. Diventa a questo punto interessante, a mio parere, la possibilità di integrare la Breadboard con un alimentatore dedicato, magari a batteria per la massima mobilità e portatilità, caratteristiche utili per esempio nella sperimentazione di progetti IOT, o legati alla connettività wireless (Wi-Fi, Bluetooth, RF), indossabili o portatili in genere, senza doversi preoccupare in prima battuta della fonte di alimentazione. Esistono in commercio alimentatori dedicati per Breadboard, in genere limitati a due tensioni fisse e raramente “ricaricabili”. Nel progetto proposto ho cercato quindi di andare oltre, non tralasciando l’aspetto didattico e nemmeno il lato “estetico” di quello che può essere comunque considerato un simpatico “gadget”.

Dall’idea alla realizzazione

Date le premesse, ho stabilito alcune caratteristiche di base che il progetto avrebbe dovuto soddisfare: alimentazione con batteria facilmente ricaricabile, compatta e ad alta capacità (scelta quasi obbligata Samsung INR18650-35E, per gli appassionati di questo tipo di accumulatori e non solo, consiglio di visitare il sito 1), scomodo da navigare ma assolutamente incredibile; tensione di uscita stabile e “pulita” (ripple e disturbi virtualmente assenti, per testare anche circuiti sensibili), variabile da zero (questa è una mia “fissa”) ad almeno venti volt, con lettura digitale del valore, interruttore e indicazione visiva della presenza; corrente disponibile di almeno alcune centinaia di milliampere, con protezione dal sovraccarico e dal corto circuito; utilizzo, dove possibile, di moduli “pronti” economici e facilmente reperibili.

Lo schema elettrico

Passiamo all’esame dello schema elettrico (Figura 1) per vedere se e come gli obiettivi fissati sono stati ottenuti.

Figura 1: Schema elettrico

Consideriamo prima lo schema “a blocchi” per tornare poi più in dettaglio sulle singole sezioni. Iniziamo con la batteria e relativo modulo di carica, un deviatore a MOSFET, un circuito che fornisce alcune tensioni ausiliarie, il regolatore formato da un modulo step-up di tipo switching seguito da uno stadio lineare, un interruttore di uscita a MOSFET, un indicatore a LED ed un micro-modulo voltmetro digitale a tre cifre.

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Informazioni sull'autore

L'elettricità mi ha sempre attirato, da giovane dilapidavo la paghetta in batterie, lampadine e cavi elettrici, a undici anni ho chiesto in regalo il primo multimetro (un glorioso ICE analogico). Anche dopo il diploma di Perito Industriale Elettrotecnico e nonostante un successivo percorso professionale piuttosto eterogeneo, la passione per l'elettronica è rimasta una costante, arrivando nel tempo a comprendere l'interesse per audio e diffusori, misure elettroacustiche, circuiti di alimentazione e amplificatori, circuiti analogici e digitali a componenti discreti, amplificatori operazionali, tubi termoionici, uso di strumentazione e misure di laboratorio, fino ad arrivare, di recente, al "morbo" della breadboard, dei microcontrollori e relativa programmazione. Insomma, tutto il classico repertorio del saldatore-dipendente! Strada facendo si è inoltre inserita prepotentemente la passione per l'informatica (sfociata poi in sedici anni di attività professionale), che ha rappresentato la quadratura del cerchio, grazie alle risorse quasi infinite improvvisamente disponibili per un appassionato come me. Basti pensare alla reperibilità di componenti e informazioni, alla possibilità di studiare ed applicare diversi linguaggi di programmazione, di disporre di un laboratorio di misura anche virtuale a costi accessibili, alla potenza e comodità dei simulatori, alla attuale realtà dell'Internet of Things. Credo quindi, attualizzando il concetto, di potermi definire un "maker" di 55 anni, senza pretese di genialità, ma con interessi e competenze in diversi ambiti, specialmente pratiche, acquisite essenzialmente da autodidatta. Quando non mi occupo di elettronica, mi piace leggere (soprattutto narrativa, preferibilmente di autori italiani), ascoltare musica (quasi esclusivamente inglese, di artisti fuori dal circuito commerciale), andare in bici, camminare.

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